Falanghina
La Falanghina è una varietà molto antica, le cui origini sono abbastanza misteriose, ma con buona certezza possiamo ritenere che fosse coltivata già ai tempi dei Romani.Attualmente viene coltivata nella zona a nord di Napoli, nei Campi Flegrei, e nel Sannio. Dimenticata per lungo tempo, è stata riscoperta con successo negli ultimi due decenni, tanto da divenire un sinonimo di qualità ed un vanto per la Campania. Il suo nome deriva probabilmente dal greco falangos, mutuato poi dai Latini in phalange in riferimento non ai famosi schieramenti armati che caratterizzavano la Grecia classica, ma al significato di legata ad un palo. La prima descrizione in epoca moderna risale al 1804 grazie agli studi di Columella Onorati, al secolo Nicola Onorati, uno dei tanti frati francescani che diedero il loro importante contributo all'ampelografia in tempi in cui la botanica era poco più che una scienza tramandata oralmente dai contadini. Il suo contributo all'agraria, come docente all'Università di Napoli per la facoltà di agricoltura, fu tra i più importanti nell'allora Regno di Napoli, che a quel tempo figurava come una delle prime cinque nazioni europee per importanza. Successivamente fu Giuseppe Acerbi, nel 1825, a descriverne le qualità come scrittore e viaggiatore, archeologo e musicista tutto fare, proveniente da una famiglia aristocratica di origine austriaca intimamente legata alla cultura. Nonostante non fosse un “botanico”, Acerbi fornì una delle descrizioni più dettagliate di questa splendida varietà, che fu base anche per il lavoro di Federico Corrado Denhart, del 1829, anch'esso molto completo ed accurato. Questi lavori furono di un'importanza straordinaria nell'ambito dell'ampelografia e la Falanghina entrò a far parte così dell'allora Orto Botanico Reale di Napoli. Dopo l'Unità d'Italia fu il Cavaliere Giuseppe Frojo nel 1879 a descriverne minuziosamente tutto il ciclo vegetativo e la successiva vinificazione. Tutti questi studi sono stati alla base del successivo successo della Falanghina, esploso definitivamente nella seconda metà del secolo successivo grazie all'adozione anche in Italia, delle normative a tutela delle denominazioni di origine controlla. Nei nostri giorni la svolta si è avuta qualche decennio fa, quando i piccoli coltivatori, soprattutto a nord di Napoli, hanno cambiato il loro sistema di allevamento, che era quello puteolano, molto produttivo per ottenere delle viti destinate alla distillazione, con sistemi di allevamento più precisi e moderni, con regole ferree e restrittive che consentissero di migliorare la qualità. Data fondamentale fu certamente il 1989, quando venne istituita la denominazione Falerno del Massico Bianco DOC. il successo di questa denominazione attrasse l'interesse di molti viticoltori da tutta Italia e si assistette ad una vera e propria battagli tra gli allevatori campani, che rivendicavano l'originalità della loro uva, e gli altri, che tentavano di approfittare del successo ottenuto dalla varietà campana. Furono coinvolte numerose personalità del mondo enologico italiano per avere pareri e analisi e affermare la regionalità di quest'uva.
La varietà e l'ampelografia
I vigneti di MastroberardinoCome accennato sopra, con il cambiamento dei sistemi di allevamento, prima poco propensi verso la qualità e per uve destinate più alla distillazione, si è entrati nella storia moderna della Falanghina e del suo vino. Consci oggi del grande ruolo svolto da questo vitigno nel panorama enologico italiano, i coltivatori hanno totalmente rivoluzionato i loro allevamenti, adottando i sistemi di potatura classici previsti dai disciplinari per ottenere la denominazione di origine, che consentono la produzione di uve qualitativamente superiori. Con le potature più rigide, che lasciano sulla pianta un massimo di 8 gemme, e l'adozione dei nuovi impianti come quello a Guyot basso, la Falanghina ha trovato la sua massima espressione producendo frutti estremamente ottimi dal punto di vista qualitativo. I vinificatori inoltre hanno lasciato le vecchie mentalità quantitative per concentrarsi anch'essi sulla qualità, grazie alle nuove uve, e già da tre decenni la Falanghina è divenuta lentamente uno dei simboli dell'enologia italiana. Oggi questa varietà esprime aromi intensi e profondi, conferendo al vino un'eleganza che prima era annacquata da un pensiero di produttori di sola quantità. I grappoli hanno forma conica, con elevata densità e compattezza, ben dotati di pruina. La pianta è vigorosa, e le sue rese sono nella media, costanti, con punte che arrivano anche ad essere abbastanza elevate nelle annate favorevoli. Nell'Isola di Procida la Falanghina sembra esprimersi ancor meglio che sulla terraferma, e i vini dell'isola si fanno largo sul mercato italiano. Matura dalla seconda metà di settembre, con buone rese. È un'uva dotata di una buona fertilità, resistente alla peronospora e più sensibile allo oidio. Dotata di una buona concentrazione di zuccheri e di un'acidità media. Attualmente può essere categorizzata in due distinti cloni: il beneventano e il Flegreo.