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Barbera del Sannio

Ma che cos’è questa barbera del Sannio se barbera non è? L’ho chiesto più volte in giro, ma nessuno mi ha mai saputo spiegare in modo esauriente l’origine del nome di questo vitigno tutto sannita, ma che non ha nulla a che vedere con l’omonimo e più famoso grappolo piemontese. L’unico a risolvere i miei quesiti è stato Nicola Venditti, enologo e produttorei, grande sostenitore di questo vitigno, ritenendolo l’unico a rappresentare in modo significativo la tradizione vitivinicola di Castelvenere. Praticamente nel corso della storia locale, quest’uva è rimasta del tutto anonima, cioè la poveretta non aveva un nome proprio, veniva vendemmiata ed utilizzata in vinificazione insieme ad altri vitigni, non essendo d’uso nel passato produrre vini da monovitigno, ma si assemblavano insieme più varietà d’uva, stabilendo i vari quantitativi a seconda delle caratteristiche peculiari di ognuna di esse.

Grappolo di barbera del Sannio: grappolo di barbera del Sannio
Quella che oggi si chiama barbera del Sannio, serviva a dare colore al vino, in quanto molto ricca di antociani, ma anche profumo, è piacevolmente fruttato, con note dolciastre di pasticceria e floreale di rosa o viola.


Barbera del piemonte: grappolo di barbera piemontese
Nel passato, ed ancora oggi in forma minore, a Castelvenere si veniva per acquistare l’uva, il territorio è altamente coltivato a vigneto, tanto da ritenerlo il comune più vitato della Campania. La barbera non si prestava al trasporto, presentando un grappolo delicato, che una volta raggiunta la maturità, perde facilmente gli acini. Pertanto rimaneva in loco, dove i contadini la vinificavano esclusivamente per uso proprio. Per consuetudine gli abitanti del paese quando parlavano del vino di Castelvenere, facendo le diverse valutazioni sull’annata, si riferivano esclusivamente a vino da barbera. Negli anni settanta c’è stata una certa invasione di vitigni provenienti da altri territori, un po’ per colmare i vuoti lasciati dal flagello della fillossera, un po’ per seguire le tendenze di mercato. Ciò creò inevitabilmente una grande confusione delle uve, delle classificazioni e dei nomi delle singole varietà. Siccome la barbera piemontese all’epoca era già molto conosciuta sull’intero mercato italiano, si pensò bene di darne il nome all’anonimo vitigno di Castelvenere, cercando in questo modo di piazzarlo meglio sul mercato. La barbera diventa quindi Barbera del Beneventano igt e poi nel 1997 conquista la doc Sannio. Deve la sua sopravvivenza sul territorio alle Cattedre Ambulanti, ente oggi paragonabile all’Ispettorato Agrario, nate dall’ispirazione ad una valida iniziativa di Camillo Benso di Cavour risalente al secolo precedente.


La degustazione di Barbera: La degustazione di barbera del Sannio a Castelvenere
Le Cattedre Ambulanti, tra gli anni 20 e 30, per risolvere i gravi danni apportati dalla fillossera, organizzarono nel Sannio dei campi sperimentali, innestando le varietà coltivate in zona, su barbatelle selvatiche. In questo modo, insieme a quella che poi fu chiamata barbera, si salvarono: mangiaguerra, grieco nero e bianco, uva cerreto, olivella, falanghina, piedirosso, coda di volpe, bombino, uva lunga, aglianico, insomma una ventina di varietà autoctone. L’ uva barbera del Sannio presenta un grappolo con acini piccoli, spargoli, dalla buccia delicata, sopratutto a maturità raggiunta. Si vendemmia in genere nella prima decade di settembre, produce un vino dal colore carico, con buona intensità di profumi, buona acidità, che però non ne detta i tempi della degustazione, tannini levigati, corpo medio, quindi un vino dalla beva agile, di facile approccio, che resta semplice e piacevole dal primo all’ultimo sorso, ma anche dalle molteplici possibilità di abbinamento con il cibo, momento in cui da sicuramente il meglio di se.